martedì 11 agosto 2009

IL DOC COME LA LANCIA DI DON CHISCHIOTTE

Intervista al regista di "Debito di Ossigeno", pellicola forte sul fenomeno della nuova povertà.

Milanoweb ha avuto il 'piacere' di dialogare apertamente con Giovanni Calamari, giovane 'documentarista' milanese (con diramazioni anche nel mainstream) che ha terminato da qualche mese la sua nuova opera "Debito di Ossigeno" dedicata all'annoso fenomeno dei "nuovi poveri".

In attesa che la pellicola cominci a girare nei più importanti 'festival' italiani e (perché no?) europei, abbiamo avvicinato lo stesso regista per farci raccontare tutto l'indispensabile riguardo ad un soggetto sociale che, volente o nolente, riguarda da vicino tutti quanti noi... Ascoltiamolo.

Come nasce un progetto impegnativo come "Debito di Ossigeno"? E’ un’opera legata esclusivamente alla recente crisi economica globale oppure l’idea di un documentario del genere ti girava per la testa già da un po’?
"L'idea è nata un paio di anni fa quando ancora non si parlava di crisi ma tra le pagine interne dei quotidiani online si leggevano reportage di giornalisti che raccontavano il fenomeno della 'nuova povertà'. Osservando i dati dei vari Osservatori, ho notato che l’aumento in percentuale delle condizioni di indigenza cresceva tra la middle-class italiana e che la forbice tra nuovi poveri e nuovi ricchi stava aumentando progressivamente nel nostro Paese."

A Milano però...
"A Milano i segni di questa tendenza non li vedevo e nemmeno ora si notano nonostante la crisi conclamata. In pratica volevo capire, conoscere queste persone in difficoltà e raccontare le loro esperienze. Cosi è cominciata la lettura dei dati, dei libri sul tema, la ricerca dei possibili soggetti, la stesura del soggetto e la ricerca dei finanziamenti. Quando la Provincia di Milano ha indetto un bando di finanziamento per documentari, con il produttore Alberto Osella abbiamo preparato il progetto e partecipato alla selezione. A dicembre del 2008 siamo stati scelti assieme ad altri dieci progetti di altrettante realtà produttive milanesi e a gennaio sono finalmente cominciate le riprese."

Credi che lo si possa definire un documentario "civile", con un messaggio forte impiantato nella sua struttura, oppure ti sei limitato ad osservare con occhio clinico una situazione tragica come quella dei "nuovi poveri" sempre più diffusa oggigiorno…?
"Un'opera civile ha lo scopo di denunciare e ravvivare la memoria collettiva. Il mio documentario, invece, non denuncia e non ricorda: apre forse la strada a delle riflessioni sulle nostre vite e su come è basata la nostra società. La cultura del lavoro è radicalmente cambiata negli ultimi dieci anni: il ruolo dell’individuo si è ridotto a numero, il prodotto va realizzato in breve tempo per ottenere il massimo del profitto senza più considerare le capacità del lavoratore. Insomma, uno vale l’altro! Questa è una condizione che ha travolto prima la classe operaia poi quella degli impiegati e dei quadri."

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