venerdì 14 agosto 2009

INTERVISTA SU MILANO TODAY

"Debito di ossigeno": storie di famiglie paradigma della crisi.

"Debito di ossigeno" è la nuova opera di Giovanni Calamari, professione regista. La storia di due famiglie colpite dalla perdita del lavoro in tarda età e dalla precarietà. Un viaggio nella crisi economica e nei suoi effetti, per rendersi conto di com'è il paese reale

di Sarah Piglia - 04/08/2009

Debito di ossigeno” è il nuovo lavoro di Giovanni Calamari, regista di documentari adottato da Milano. La sua ultima fatica segue due modelli di famiglia italiana, sconvolte dalla precarietà e dalla perdita repentina del lavoro in tarda età.

Un documentario sulla precarietà sociale, sulla perdita del lavoro intorno ai 40 anni. Come mai la scelta di questo tema per il tuo documentario? Come è nato soprattutto questo lavoro?

L’idea del documentario nasce da due esigenze: la prima riguarda il tentativo di esorcizzare la mia paura di restare senza lavoro. Ho scelto una professione difficile e incerta, che da molta libertà ma costringe sempre a cercarsi occasioni di lavoro.
Accanto al privilegio di fare il regista c’e’ anche il suo rovescio: permettersi di raccontare una storia significa lavorare ad un progetto per mesi non producendo denaro, quindi per fare questo mestiere o sei ricco oppure devi imparare a gestire adeguatamente il tuo tempo/lavoro/finanze.
La seconda esigenza nasce dal desiderio di raccontare la nostra epoca attraverso l’osservazione e l’interpretazione di un fenomeno come quello della perdita della sicurezza sociale.

Dalla tua esperienza e ricerca per il documentario, questo fenomeno del precariato sociale e della perdita del lavoro in età avanzata, è un problema diffuso?

Assolutamente si! Non solo, esiste una sorta di censura, nessun media denuncia questa drammatica condizione sociale e le pochissime iniziative a riguardo sono opera di associazioni di lavoratori over 40 che si battono per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni.
Durante la mia ricerca ho conosciuto persone tra i 40 ed i 50 anni che vivono il dramma della disoccupazione, troppo “vecchi” per il mondo del lavoro, con troppo know-how, che si sottopongono ad umilianti colloqui in agenzie interinali con i selezionatori solitamente molto più giovani di loro.

Sabrina, una delle protagoniste del tuo film, dice ad un certo punto: “Nessuno ha il diritto di demolire i miei sogni. Rivoglio la mia vita com’era, perché me la sono sudata”. Che tipo di effetto ha sulle dinamiche familiari e sulla persona la perdita repentina del lavoro e il crollo delle certezze legate al reddito?

E’ un effetto domino. Se sei sempre stato abituato al posto fisso ed improvvisamente ti ritrovi senza lavoro lo shock è violentissimo; poi dipende molto dalla tua resistenza psicologica.
Ricerche sociologiche dicono che se non ritrovi lavoro entro sei mesi entri nella zona a rischio depressione con conseguenze negative all’interno del tuo nucleo familiare. Per un uomo perdere il lavoro è assai difficile da accettare sia per la propria autostima, sia per il ruolo nella società e nella propria famiglia: l’idea di capofamiglia inconsciamente radicata, si frantuma, il conto bancario si prosciuga rapidamente, è difficile accettare di mutare il proprio status sociale, e spesso si producono conflitti e separazioni.

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